Il sorriso della verità

Una ragazza in catene che sorride.

Una militante antifascista che non si spaventa.

Una persona sottoposta ad un regime carcerario da medioevo che tranquillamente affronta la barbarie.

Questa straordinaria donna è Ilaria Salis.

Manifestare il proprio pensiero è cosa dura di questi tempi: in Italia, Ungheria, Ucraina, Russia, Turchia, Palestina.

Ilaria lo fa con il sorriso perché ha con sé la forza della verità, della forza delle idee, della sicurezza del proprio ideale.

Una donna che come pochi frame ci dona una grande lezione di vita.

A poco servono le idiozie strombazzate dai soliti tromboni, nazionalisti con gli accusati di assassinio (i Marò) e giustizialisti con tutti gli altri.

Orban, l’amico sovranista della Giorgia nazionale, in pochi anni ha trasformato l’Ungheria in un Paese retrivo e pericoloso, lo stesso tentativo che in tutto il mondo stanno operando (purtroppo con successo) le fazioni ultraconservatrici.

Ilaria, con il suo essere solare e fiera, ci regala la forza per reagire e per continuare a lottare.

Per un mondo di libertà che nemmeno la Storia potrà ancora a lungo negarsi.

 

L’effige del male sul cuore

Invasione, Nato, Putin, ognuno e ognuna può avere la propria legittima opinione su quello che sta accadendo in Ucraina. C’è chi ritiene inaccettabile una guerra in Europa perché mina i “nostri” principi, chi sostiene che la Russia non possa accettare supinamente un accerchiamento delle forze alleate agli Stati Uniti.

Io la mia idea, da antimperialista e antiautoritario, ce l’ho ben radicata e netta e ritengo che la situazione sia molto complessa.

Su una cosa, però, tutti e tutte dovremmo essere d’accordo: un capo di Stato non può presentarsi a impegni Istituzionali soprattutto in un Paese con una Costituzione chiaramente e nettamente antifascista con le insegne di un gruppo neonazista.

L’Europa di Maastricht e russofobica parteggia per Zelensky? Faccia pure, ma pretenda un netto distinguo di quest’ultimo nei confronti dei fatti di Crimea del 2014 e dai fascisti del suo Paese.

O almeno gli impedisca di presentarsi al cospetto del nostro massimo rappresentante istituzionale con quella guisa.

Altrimenti l’intento di Putin di “denazificare” l’Ucraina non potrà essere ritenuta una semplice scusa.

 

Lollo l’etnita

Non era una gaffe. Non era un fraintendimento. È proprio il suo pensiero e di quelli come lui. Che purtroppo sono in crescita, si moltiplicano, prosperano.

Sotto i colpi della retorica e della propaganda di regime.

Lollobrigida, il ministro-cognato, parla di nuovo di etnia italica. E lo fa al convegno “Gli stati generali della natalità”.

Il dis-pensiero di Lollobrigida viene direttamente dal ventennio. Ha l’inequivocabile puzza del razzismo perché si connota come una contrapposizione alle migrazioni, agli altri visti come invasori, corpi estranei e opprimenti.

Non certo coloro che ci fanno esultare allo stadio, ovvio, o quelli che ci emozionano al cinema. Ai microcefali fa paura la povertà, l’indigenza, l’ultimo che “ruba” al penultimo.

Obnubilati dalla ferocia dei tempi e dai media dei padroni delle Ferriere, gli italiani hanno paura e si fanno governare da chi ha intriso l’ideologia della razza.

La razza, l’etnia, la nazione che nella loro retorica non solo è una appartenenza ma addirittura un plus di superiorità negli confronti degli “altri”.

E da questo ne deriva che “è giusto” bloccarli nel Mediterraneo, che è “sensato” decretarne i flussi, che è “cosa buona” togliere lo stato di emergenza.

Nel mare non muoiono solo migranti che fuggono dalla fame e dalla guerra ma anche l’umanità.

E i bulli come Lollo e compagnia brutta godono e continuano imperterriti e propinarci, senza troppo disturbo o indignazione popolare, le loro assurde boiate.

Il Re è…di cera


Berlusconi ovvero il Re che non vuole morire.

Il signore dei mille dubbi morali, dei (mala)affari, delle cene eleganti, delle orrende storielle da italiano medio non si rassegna alla triste mietitrice e continua imperterrito a cantare la sua retorica.

La cosa delirante e paradossale è che, nell’attuale governo di destra-centro, lui e i suoi accoliti, sono il labile baluardo contro il revanscismo fascista meloniano.

Pur non riuscendo quasi più a parlare, il Caimano lotta, sgomita, inventa.

Di danni ne ha fatti al nostro Paese, tantissimi. Soprattutto nelle mentalità pur essendone contemporaneamente il frutto e il manipolatore.

Figura a dir poco controversa di una società abbietta, paradigma di un mondo da rivoltare.

E mentre nelle terre britanniche si celebra l’altra farsa dell’incoronazione di un Re fantoccio, noi ci teniamo questo Re di cera che con caparbia ancora vuole prenderci per il naso

 

M come Meloni M come MinCulPop.

 

Il video del consiglio dei Ministri celebrato, con grande esposizione mediatica, il giorno della festa dei lavoratori dalla Presidente Meloni è la cartina di tornasole di questo governo.

Senza entrare troppo nel merito dei provvedimenti deliberati, (manovra ultra liberalista, la cancellazione del reddito cittadinanza che esprime tutto l’odio della destra verso la povertà, nulla di nuovo verrebbe da dire) il video di Meloni è un episodio che ci ricorda il ventennio e il Ministero della Cultura Popolare varato da Benito Mussolini: come una consumata attrice presenta i provvedimenti senza contraddittorio, senza domande scomode dei giornalisti, senza confronto con la democrazia.

Perché se si deve essere populisti, lo sappiamo fare anche noi.

Meloni è una vita che lavora solamente nella politica; fin da giovanissima è stata deputata, poi Ministra, adesso presidente del consiglio (come ama farsi chiamare senza il genere femminile).

Questa retorica del primo maggio in cui loro lavorano mentre la sinistra in teoria balla e canta in piazza (un sacrosanto diritto di celebrare la festa delle lavoratrici e dei lavoratori) è francamente insopportabile.

La destra fa il suo (sporco) lavoro.

Molti l’hanno votata per questo: obnubilati dalla retorica “lavorista” della lotta tra ultimi e penultimi, ora saranno soddisfatti di questa manovra pro-padroni.

Il sottrarsi al confronto democratico è però grave, crea un precedente, ha il sapore del regime.

Il sornione e prolungato sguardo finale in camera la dice lunga sulla sua esperienza politica e sulla sua gioia nel sapere che in fondo, molti, inizialmente, saranno dalla sua parte.

 

 

Sul perché l’intervista di Elly Schlein rappresenti un grave vulnus politico-culturale

 

L’intervista rilasciata dalla neo Segretaria del Partito Democratico italiano rappresenta un grave vulnus politico culturale. Il titolo parla chiaro ma vado ad argomentare.

Premesso che in Politica non sono mai stato fautore delle polemiche politiche basate su fatti personali come la statura di Brunetta o il parrucchino di Berlusconi, in questo caso la forma rischia di diventare sostanza.

Una dirigente di primo piano nazionale sente il bisogno di rilasciare una delle sue prime dichiarazioni ad un giornale di moda e questo per due motivi: assecondare il trand del politico à la page ed impeccabile e per smentire le becere critiche, provenienti soprattutto dal populismo di destra, sul suo aspetto fisico.

Ma il problema non termina qui: i fiduciosi in una possibile svolta progressista del PD difendono questa intervista per partito preso, perché agiscono da “tifosi” che poi era l’accusa, una delle poche andate a segno, che il fu M5S faceva ai votanti dei due maggiori schieramenti (salvo poi divenire essi stessi i primi tifosi accaniti e acritici).

Senza scendere troppo nei dettagli dell ormai famoso articolo, è chiaro che dedicare tempo a cotante facezie stride e non poco con la pancia vuota e il futuro nebuloso di milioni di italiane e italiani.

Inoltre rappresenta la morte definitiva della politica come confronto dialettico basato esclusivamente sui contenuti.

Sia chiaro, Schlein come Lollobrigida o Meloni nella vita privata possono fare ciò che meglio credono (nei limiti di ciò che prescrive la legge). Nel momento in cui bevano l’amaro calice dell’agone pubblico hanno l’obbligo morale e politico di non farsi rimbrottare per vizi privati che possano inficiarne l’attività istituzionale. Vale per le cene eleganti di Berlusconi come, con le dovute differenze, per le serate in discoteca di Sanna Marin.

La Politica è cosa seria. Purtroppo ormai essa è praticata da miracolati ed incompetenti. Parvenu, improvvisati, inesperti e “scappati di casa”.

I risultati parlano chiaro: l’incapacità di usare i fondi del PNRR, i mancati controlli sul 110%, i pasticci sul sacrosanto Reddito di cittadinanza.

Opere incompiute di dilettanti allo sbaraglio.

Schlein inoltre potrebbe rappresentare anche un’occasione per le forze della regressione per dare una nuova, e finta, anima, ad un partito (democratico) incapace di rappresentare gli interessi popolari perché intriso di pratiche neoliberiste come tutto, o quasi l’arco parlamentare.

Una testa di ponte in pratica dell’altra faccia del capitale che attraverso il solo rispetto dei diritti civili tenta una parvenza di modernità e progressismo.

Ecco perché, nonostante sembri questione di lana caprina, è importante da stigmatizzare.

Un “buongiorno” che ci spiega come sarà “la giornata” per una politica ormai incapace di disarcionare lo stallone neoliberista e sempre più distante dal popolo e dai suoi interessi.

UNIONE POPOLARE

 

9 LUGLIO 2022: C’È BISOGNO DI UN’UNIONE POPOLARE!
(𝑨𝒑𝒑𝒆𝒍𝒍𝒐 𝒂𝒈𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒂𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒆 𝒇𝒊𝒓𝒎𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐𝒔𝒄𝒓𝒊𝒕𝒕𝒓𝒊𝒄𝒊 𝒆 𝒅𝒆𝒊 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐𝒔𝒄𝒓𝒊𝒕𝒕𝒐𝒓𝒊)

Siamo milioni in Italia a ripudiare la guerra e l’Italia in guerra.
✖️ Condanniamo l’aggressione del Governo russo all’Ucraina, come ogni intervento militare delle grandi potenze e della NATO, perché le guerre causano sempre distruzione, colpendo in primis la popolazione civile e portando morte, sofferenza e odio tra i popoli.

✖️ Siamo contrari alla decisione del governo e della maggioranza del Parlamento di condurre l’Italia in guerra, ribaltando, attraverso l’invio di armi, l’articolo 11 della Costituzione e aprendo così al rischio di una Terza Guerra Mondiale.

✖️ Rifiutiamo un’economia di guerra che porta a un aumento dei prezzi, che rende ancora più ingiusta la nostra società, favorendo la speculazione e gli affari di pochi contro i molti.

✔️ Riteniamo fondamentale che il nostro Paese agisca concretamente per un immediato cessate il fuoco, veri negoziati, un ruolo centrale della diplomazia e una Conferenza di Pace, unica via.

La guerra e la sua economia approfondiscono la devastazione del pianeta e impediscono che si cooperi per la soluzione dei problemi comuni.
Spetta a noi schierarsi nettamente a favore dell’ambiente, opponendoci al ritorno al fossile, costruendo una vera transizione ecologica e una reale lotta al riscaldamento climatico, non più rinviabile.

✖️ Ci schieriamo contro la violenza sulle donne, il razzismo, lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, l’aumento delle spese militari, le mafie, la corruzione e l’autonomia differenziata, che distrugge il sistema pubblico e penalizza in primo luogo il mezzogiorno.
Milioni di persone in tutto il mondo sono assetate di giustizia sociale e si stanno mobilitando, ottenendo importanti vittorie.
Tocca anche a noi in Italia.

✔️ È tempo di costruire un modello di sviluppo in ferma contrapposizione alle ricette neoliberiste, ai processi di privatizzazione, e al potere economico e politico dominante, che da tempo ignora l’interesse collettivo e l’importanza dei beni comuni, e con un apparato di potere politico-economico-mediatico che comanda nell’interesse di pochi.

Il 9 luglio a Roma vogliamo cominciare a percorrere questo cammino. A mobilitarci nella società, nel mondo della cultura e anche nel sistema politico, oggi blindato dal Governo Draghi e dalla maggioranza trasversale che lo sostiene.
Incontriamoci, discutiamo, costruiamo con chi soffre, si indigna, lotta. Con chi viene escluso da questo sistema. Con chi ha idee, creatività, competenze, e non si arrende.

Non è vero che “tanto non cambierà mai nulla”. Siamo noi che, congiuntamente, possiamo unire, costruire e cambiare. E noi le faremo cambiare nel senso della partecipazione, della democrazia, della solidarietà.
Insieme ce la possiamo fare!

Per info e adesioni scrivete una mail a [email protected]

Nell’elenco ⬇ le sottoscrittrici e sottoscrittori dell’appello:

Fabio Alberti
Dafne Anastasi
Paolo Andreozzi
Cesare Antetomaso
Guendalina Anzolin
Giuseppe Aragno
Massimo Arcangeli
Franco Arminio
Pino Ippolito Armino
Michela Arricale
Saverio Aversa
Angelo Baracca
Filippo Barbera
Emma Baeri
Saverio Bartoluzzi
Michela Becchis
Vincenzo Benessere
Piero Bevilacqua
Paolo Berdini
Marco Bigerni
Susanna Boheme Kuby
Cinzia Bomoll
Marina Boscaino
Fabiola Bravi
Agostino Breda
Maurizio Brotini
Benedetta Buccellato
Romeo Bufalo
Antonella Bundu
Simone Caccavallo
Paolo Cacciari
Enrico Calamai
Giulia Calò
Francesco Campolongo
Elisabetta Canitano
Ileana a Capurro
Antimo Caro Esposito
Loris Caruso
Clarissa Castaldi
Maria Teresa Chiarello
Donatella Chiodo
Salvatore Cingari
Francesco Ciocconi
Vincenzo Colaprice
Amalia Collisani
Andrea Costa
Giancarlo Costabile
Michele Conia
Giorgio Cremaschi
Natale Cuccurese
Carlo Cunegato
Massimo Dapporto
Rachele de Chiara
Cinzia Della Porta
Nicoletta Dentico
Francesco Di Lieto
Soumaila Diawara
Camilla Diurno
Enzo Di Salvatore
Matteo Dominioni
Angelo d’Orsi
Nicoletta Dosio
Tiziana Drago
Abdel El Amir
Gianni Fabbris
Daniela Lourdes Falanga
Lillo Fasciana
Paolo Favilli
Mariema Faye
Nello Fierro
Martina Filippini
Luca Fontana
Francesca Fornario,
Federico Fornasari
Francesca Frediani
Gianni Fresu
Andrea Fumagalli
Rosaria Galiero
Sara Gandini
Filippo Girardi
Haidi Giuliani
Valeria Giuliano
Giuliano Giurlando
Lorenzo Giustolisi
Dino Greco
Paola Guazzo
Maria Teresa Iannelli
Giovanni Impastato
Franco Ingrillì
Stefano Jossa
Patrick Konde
Francesca Lacaita
Ferdinando Laghi
Lelio La Porta
Raniero La Valle
Claudileia Lemes Dias
Guido Liguori
Fabiomassimo Lozzi
Francesca Lini
Giorgia Listì
Giulia Livieri
Consuelo Locati
Ernesto Longobardi
Antonio Lo Schiavo
Domenico (Mimmo) Lucano
Elettra Luna Lucassen
Gabriele Lupo
Guido Lutrario
Paolo Maddalena
Roberto Mancini
Nicola Manfredelli
Lucio Manisco
Dario Manni
Laura Marchetti
Tommaso Marcon
Gabriele Antonio Mariani
Loredana Marino
Antonella Marras
Pino Masciari
Francesco Saverio Mascolo
Leonardo Masella
Citto Maselli,
Ignazio Masulli
Giovanni Mazzetti
Emilio Mesanovic
Leo Micali)
Maria Vittoria Molinari
Raul Mordenti
Roberto Morea
Veronica Morea
Roberto Musacchio
Viola Negro
Eva Olivero
Gessica Onofri
Guido Ortona
Moni Ovadia
Giovanni Pagano
Rossano Pazzagli
Dora Palumbo
Vera Pegna
Ada Perini
Tonino Perna
Francesca Perri
Tiziana Pesce
Rosangela Pesenti
Gregorio Piccin
Giuseppe Racanelli
Cristina Re
Sandro Repaci
Riccardo Rifici
Vincenzo Riccio
Valntino Romano
Francesco Rubini
Franco Russo
Giorgia Salvati
Clementina Sasso
Enzo Scandurra
Emilio Scalzo
Giancarlo Scotoni
Fabio Sebastiani
Vauro Senesi,
Marino e Sandro Severini (The Gang)
Piero Soldini
Lucina Speciale
Santino Spinelli
Francesco Staccioli
Giulia Stringhini
Alvise Tassell
Aurora Trotta
Francesco Tuccino
Stefania Tuzi
Carmela Uliano
Emanuele Ungheri
Adolfo Vallini
Luciano Vasapollo
Fulvio Vassallo Paleologo
Stefano Vento
Maddalena Verrone
Guido Viale,
Pasquale Voza
Alberto Ziparo
Maurizio Acerbo
Silvia Benedetti
Anna Camposampiero
Viola Carofalo
Mauro Casadio
Marta Collot
Giorgio Cremaschi
Luigi de Magistris
Yana Ehm
Paolo Ferrero
Andrea Ferroni
Eleonora Forenza
Stefano Galieni
Giuliano Granato
Matteo Mantero
Elena Mazzoni,
Paola Nugnes
Carmine Piscopo
Rosa Rinaldi
Giovanni Russo Spena
Doriana Sarli
Simona Suriano

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Chi è quell’autocrate vicino a Erdogan?

 

Draghi, in nome della realpolitik, incontra Erdogan, quello che poco più di una anno fa aveva definito, non senza clamore, un dittatore.

Il fatto politicamente è grave, ma non solo per l’immediatezza della stretta di mano e per l’oscena conferenza stampa che ne è seguita.

Draghi incontra Erdogan pochi giorni dopo il do ut des sulla pelle del popolo Curdo; non è un caso.

Il banchiere di Città della Pieve marca, con questo summit, la totale adesione della nostra nazione alle logiche spartitorie che saranno un must

dei prossimi anni: un mondo multipolare in cui si deve fare una scelta di campo netta tra due o più sfere di influenza (tutte deleterie e sprezzanti dei diritti civili).

Ribadire la sacrificabilità di un popolo ha un significato ben preciso, soprattutto quando esso sia egemonizzato da una ben delineata ideologia come quella rappresentata dal PKK e dal Partito HDP.

Draghi, dietro l’aspetto dimesso e la voce suadente, è un Primo Ministro spietato (la Grecia lo aveva già capito…), un vero battitore libero (dai partiti italiani) che asseconda una strategia ben delineata dai padroni delle ferriere che non sono solo gli Stati Uniti ma il mondo neoliberista più in generale.

Accecato dalla sua ideologia totalizzante cerca proseliti fra tutti coloro che possano essere utili alla causa del capitale senza fare ostaggi.

Non si pone nemmeno lontanamente la tutela dei diritti civili e le libertà dei popoli, questi sono vessilli da sventolare solamente in campo europeo perchè l’Unione Europea ha ormai definitivamente scelto il campo di Maastricht.

Un periodo buio per l’Italia e per il mondo che scivola, lentamente ma inesorabilmente in quella tanto agognata (dai padroni) fine della storia preconizzata da Fukujama in cui il capitale regnerà incontrastato e noncurante.

La storia recente, però, ci insegna che la disillusione dei popoli, per quanto spesso populista e pericolosa, a volte diventa artefice di cambiamenti di paradigma

e di repentine svolte politiche.

Almeno questa rimane una flebile speranza nei cuori di chi crede ancora che un altro mondo possa essere possibile.

Pace o barbarie finale

 

 

La guerra in Ucraina sta creando grande indignazione nel mondo perché è chiaro e lampante a tutti e tutte che trattasi di una aggressione militare che non può avere giustificazioni di alcun tipo.

Premesso e ribadito con forza questo concetto la questione non può e non deve rientrare nella solita visione semplicistica e manichea dell’informazione mainstream.

In primis non regge il confronto fra la resistenza ucraina e quella italiana della II guerra mondiale.

E’ chiaro che gli ucraini hanno il sacrosanto diritto di difendersi dall’esercito russo; armarli è un altro paio di maniche.

Le armi fomentano la guerra e non spianano la strada al dialogo. Inoltre queste stesse rischiano seriamente di finire nella mani di neonazisti ucraini rei di tantissime atrocità, perpetrate fino dal 2014, nei confronti delle popolazioni russofone.

La Russia è una potenza nucleare e Putin sembra essere effettivamente fuori controllo. Oltre alle sue orrende azioni, impressionano i suoi discorsi a volte deliranti, nel come tratta i subordinati, la sua paranoia dei contatti fisici.

Chi arma le parti in causa ha interessi tutt’altro che umanitari e smania di giustizia e sete di libertà.

L’occidente è come sempre un Giano bifronte con una morale a comando in base a chi rappresenta meglio i propri interessi: ecco che la retrograda ma ricca Arabia Saudita non crea nessun imbarazzo mentre i giornalisti di tutto il mondo si sperticano di aggettivi negativi contro le altrettanto imbarazzanti violazioni di diritti civili della Repubblica Popolare Cinese che unisce a queste peculiarità una pericolosa (per gli Stati Uniti ovviamente) potenza economica nei fatti antiegemonica del Molok americano.

Fare queste analisi non significa giustificare le nefandezze dei governi o prendere le difese di uno dei due campi in gioco; è una semplice verità non detta ma assodata.

Perché i profughi ucraini ci impressionano più della altre decine di popolazioni che vertono nelle stesse identiche condizioni? Perché essi si presentano alla frontiera con la Polonia “vestiti come noi”, hanno quasi i nostri tratti somatici, sono vicini geograficamente. E’ come se lo facessero a noi. Aberrante ovviamente.

Ma come mai non c’è questo stesso moto interiore anche per i Palestinesi, gli Yemeniti o i Siriani? Troppo scuri per i nostri gusti, malvestiti, socialmente pericolosi?

Esiste dunque una umanità di serie A e una di serie B? Esistono violazioni dei diritti accettabili ed altre intollerabili perché perpetrate dai “nostri” antagonisti?

Come risolvere questa ingiustizia? Non certo parteggiando per l’omofobo Putin ovviamente, ma nemmeno santificando Zelensky e il suo governo colluso con gli oligarchi e che fa l’occhiolino alla pulizia etnica e ai battaglioni nostalgici del fuhrer.

Serve ora più che mai, anche in virtù della precedente batosta pandemica, una diversa umanità, una nuova consapevolezza delle cose del mondo.

Utopia? Certo. Necessità impellente. Ancor di più.

Con la piccola differenza che stavolta potrebbe essere la nostra ultima, disperata, opportunità.

Dizionario del sofàgate

 

Questa qua sopra è la foto completa del famigerato sofàgate.

Lo scandalo è, in ordine alfabetico:

D come Disinformazione. Che ragione c’era di non divulgare la foto completa da parte dei media mainstream? Il signore sulla destra è il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu.

Evidentemente, forse a torto, il protocollo della diplomazia turca ritiene la carica del Michel, presidente del Consiglio europeo, superiore a quella di Ursula von der Leyen. Era prioritario per la stampa europea stigmatizzare la contrapposizione occidentale con quella di Ankara.

M come Maschilismo (di Erdogan). In Turchia c’è sicuramente un problema di diritti sociali; lo scorso 8 marzo dodici giovani tra i 20 e i 25 anni sono state fermate a Istanbul per aver intonato slogan contro Erdogan e Tayyip durante la manifestazione nella Giornata internazionale della donna. Ma questo non è l’unica violazione fatta dal regime di Erdogan in questi anni.

N come Neoliberismo. Questa ideologia è il vero male del secolo. E’ quella teoria economica che porta le Istituzioni UE a trattare con regimi più che discutibili che però hanno in comune con loro i dogmi economici. Nella declinazione occidentale vi è maggiore ipocrisia forse, anche se alcuni passi almeno sui diritti civili sono sicuramente avanzati rispetto a quei paesi in cui le questioni di genere, ad esempio, non sono nemmeno prese in considerazione.

S come Servilismo (dell’UE nei confronti dei dittatori). Per le ragioni sopra citate. Non si esita a fare affari con regimi assassini come quello di Ankara che da anni cerca in tutti i modi di cancellare la gloriosa resistenza del popolo curdo.

Il trattamento riservato a von der Leyen, in sostanza, è scandaloso e chiaro segnale di arretratezza da parte di Erdogan e della sua medievalistica concezione delle donne. MA questo non ci deve far scordare la tragica ideologia che essa stessa propugna.

Queste 2 vignette sintetizzano bene la situazione.