M come Meloni M come MinCulPop.

 

Il video del consiglio dei Ministri celebrato, con grande esposizione mediatica, il giorno della festa dei lavoratori dalla Presidente Meloni è la cartina di tornasole di questo governo.

Senza entrare troppo nel merito dei provvedimenti deliberati, (manovra ultra liberalista, la cancellazione del reddito cittadinanza che esprime tutto l’odio della destra verso la povertà, nulla di nuovo verrebbe da dire) il video di Meloni è un episodio che ci ricorda il ventennio e il Ministero della Cultura Popolare varato da Benito Mussolini: come una consumata attrice presenta i provvedimenti senza contraddittorio, senza domande scomode dei giornalisti, senza confronto con la democrazia.

Perché se si deve essere populisti, lo sappiamo fare anche noi.

Meloni è una vita che lavora solamente nella politica; fin da giovanissima è stata deputata, poi Ministra, adesso presidente del consiglio (come ama farsi chiamare senza il genere femminile).

Questa retorica del primo maggio in cui loro lavorano mentre la sinistra in teoria balla e canta in piazza (un sacrosanto diritto di celebrare la festa delle lavoratrici e dei lavoratori) è francamente insopportabile.

La destra fa il suo (sporco) lavoro.

Molti l’hanno votata per questo: obnubilati dalla retorica “lavorista” della lotta tra ultimi e penultimi, ora saranno soddisfatti di questa manovra pro-padroni.

Il sottrarsi al confronto democratico è però grave, crea un precedente, ha il sapore del regime.

Il sornione e prolungato sguardo finale in camera la dice lunga sulla sua esperienza politica e sulla sua gioia nel sapere che in fondo, molti, inizialmente, saranno dalla sua parte.

 

 

Sul perché l’intervista di Elly Schlein rappresenti un grave vulnus politico-culturale

 

L’intervista rilasciata dalla neo Segretaria del Partito Democratico italiano rappresenta un grave vulnus politico culturale. Il titolo parla chiaro ma vado ad argomentare.

Premesso che in Politica non sono mai stato fautore delle polemiche politiche basate su fatti personali come la statura di Brunetta o il parrucchino di Berlusconi, in questo caso la forma rischia di diventare sostanza.

Una dirigente di primo piano nazionale sente il bisogno di rilasciare una delle sue prime dichiarazioni ad un giornale di moda e questo per due motivi: assecondare il trand del politico à la page ed impeccabile e per smentire le becere critiche, provenienti soprattutto dal populismo di destra, sul suo aspetto fisico.

Ma il problema non termina qui: i fiduciosi in una possibile svolta progressista del PD difendono questa intervista per partito preso, perché agiscono da “tifosi” che poi era l’accusa, una delle poche andate a segno, che il fu M5S faceva ai votanti dei due maggiori schieramenti (salvo poi divenire essi stessi i primi tifosi accaniti e acritici).

Senza scendere troppo nei dettagli dell ormai famoso articolo, è chiaro che dedicare tempo a cotante facezie stride e non poco con la pancia vuota e il futuro nebuloso di milioni di italiane e italiani.

Inoltre rappresenta la morte definitiva della politica come confronto dialettico basato esclusivamente sui contenuti.

Sia chiaro, Schlein come Lollobrigida o Meloni nella vita privata possono fare ciò che meglio credono (nei limiti di ciò che prescrive la legge). Nel momento in cui bevano l’amaro calice dell’agone pubblico hanno l’obbligo morale e politico di non farsi rimbrottare per vizi privati che possano inficiarne l’attività istituzionale. Vale per le cene eleganti di Berlusconi come, con le dovute differenze, per le serate in discoteca di Sanna Marin.

La Politica è cosa seria. Purtroppo ormai essa è praticata da miracolati ed incompetenti. Parvenu, improvvisati, inesperti e “scappati di casa”.

I risultati parlano chiaro: l’incapacità di usare i fondi del PNRR, i mancati controlli sul 110%, i pasticci sul sacrosanto Reddito di cittadinanza.

Opere incompiute di dilettanti allo sbaraglio.

Schlein inoltre potrebbe rappresentare anche un’occasione per le forze della regressione per dare una nuova, e finta, anima, ad un partito (democratico) incapace di rappresentare gli interessi popolari perché intriso di pratiche neoliberiste come tutto, o quasi l’arco parlamentare.

Una testa di ponte in pratica dell’altra faccia del capitale che attraverso il solo rispetto dei diritti civili tenta una parvenza di modernità e progressismo.

Ecco perché, nonostante sembri questione di lana caprina, è importante da stigmatizzare.

Un “buongiorno” che ci spiega come sarà “la giornata” per una politica ormai incapace di disarcionare lo stallone neoliberista e sempre più distante dal popolo e dai suoi interessi.

Il Sol dell’Avvenire

 

Un film pieno di speranza e non solo nel titolo. “Il sol dell’avvenire”, ultima fatica del cineasta romano Nanni Moretti, è un’opera intensa, autobiografica e catartica.

Un regista nevrotico e in piena crisi familiare cerca di realizzare un film politico sui fatti del 56 in Ungheria nel pieno dell’arrivo a Budapest dei carri armati sovietici.

L’escamotage del meta cinema spesso funziona perché dona diverse chiavi di lettura e Moretti lo sfrutta appieno.

Nanni come sempre non ha paura di dire la sua sul mondo del cinema e sulla deriva eccessivamente votata alle piattaforme streaming senza risparmiare nemmeno botte da orbi alle pellicole grottescamente pulp e “modaiole”.

Il finale che potremmo definire, quasi paradossalmente, tarantiniano (in senso lato…) regala una dolce ed inaspettata sorpresa che rende di colpo il film di livello superiore.

Unica nota dolente è di carattere storiografico: per riuscire a dire ciò che è il significato principe e il senso di questo film Moretti avrebbe potuto utilizzare un altro episodio storico, ad esempio la Primavera di Praga, dato che la rivolta ungherese era stata condizionata troppo dai fascisti magiari che volevano far ripiombare il Paese in un periodo reazionario.

UNIONE POPOLARE

 

9 LUGLIO 2022: C’È BISOGNO DI UN’UNIONE POPOLARE!
(𝑨𝒑𝒑𝒆𝒍𝒍𝒐 𝒂𝒈𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒂𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒆 𝒇𝒊𝒓𝒎𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐𝒔𝒄𝒓𝒊𝒕𝒕𝒓𝒊𝒄𝒊 𝒆 𝒅𝒆𝒊 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐𝒔𝒄𝒓𝒊𝒕𝒕𝒐𝒓𝒊)

Siamo milioni in Italia a ripudiare la guerra e l’Italia in guerra.
✖️ Condanniamo l’aggressione del Governo russo all’Ucraina, come ogni intervento militare delle grandi potenze e della NATO, perché le guerre causano sempre distruzione, colpendo in primis la popolazione civile e portando morte, sofferenza e odio tra i popoli.

✖️ Siamo contrari alla decisione del governo e della maggioranza del Parlamento di condurre l’Italia in guerra, ribaltando, attraverso l’invio di armi, l’articolo 11 della Costituzione e aprendo così al rischio di una Terza Guerra Mondiale.

✖️ Rifiutiamo un’economia di guerra che porta a un aumento dei prezzi, che rende ancora più ingiusta la nostra società, favorendo la speculazione e gli affari di pochi contro i molti.

✔️ Riteniamo fondamentale che il nostro Paese agisca concretamente per un immediato cessate il fuoco, veri negoziati, un ruolo centrale della diplomazia e una Conferenza di Pace, unica via.

La guerra e la sua economia approfondiscono la devastazione del pianeta e impediscono che si cooperi per la soluzione dei problemi comuni.
Spetta a noi schierarsi nettamente a favore dell’ambiente, opponendoci al ritorno al fossile, costruendo una vera transizione ecologica e una reale lotta al riscaldamento climatico, non più rinviabile.

✖️ Ci schieriamo contro la violenza sulle donne, il razzismo, lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, l’aumento delle spese militari, le mafie, la corruzione e l’autonomia differenziata, che distrugge il sistema pubblico e penalizza in primo luogo il mezzogiorno.
Milioni di persone in tutto il mondo sono assetate di giustizia sociale e si stanno mobilitando, ottenendo importanti vittorie.
Tocca anche a noi in Italia.

✔️ È tempo di costruire un modello di sviluppo in ferma contrapposizione alle ricette neoliberiste, ai processi di privatizzazione, e al potere economico e politico dominante, che da tempo ignora l’interesse collettivo e l’importanza dei beni comuni, e con un apparato di potere politico-economico-mediatico che comanda nell’interesse di pochi.

Il 9 luglio a Roma vogliamo cominciare a percorrere questo cammino. A mobilitarci nella società, nel mondo della cultura e anche nel sistema politico, oggi blindato dal Governo Draghi e dalla maggioranza trasversale che lo sostiene.
Incontriamoci, discutiamo, costruiamo con chi soffre, si indigna, lotta. Con chi viene escluso da questo sistema. Con chi ha idee, creatività, competenze, e non si arrende.

Non è vero che “tanto non cambierà mai nulla”. Siamo noi che, congiuntamente, possiamo unire, costruire e cambiare. E noi le faremo cambiare nel senso della partecipazione, della democrazia, della solidarietà.
Insieme ce la possiamo fare!

Per info e adesioni scrivete una mail a [email protected]

Nell’elenco ⬇ le sottoscrittrici e sottoscrittori dell’appello:

Fabio Alberti
Dafne Anastasi
Paolo Andreozzi
Cesare Antetomaso
Guendalina Anzolin
Giuseppe Aragno
Massimo Arcangeli
Franco Arminio
Pino Ippolito Armino
Michela Arricale
Saverio Aversa
Angelo Baracca
Filippo Barbera
Emma Baeri
Saverio Bartoluzzi
Michela Becchis
Vincenzo Benessere
Piero Bevilacqua
Paolo Berdini
Marco Bigerni
Susanna Boheme Kuby
Cinzia Bomoll
Marina Boscaino
Fabiola Bravi
Agostino Breda
Maurizio Brotini
Benedetta Buccellato
Romeo Bufalo
Antonella Bundu
Simone Caccavallo
Paolo Cacciari
Enrico Calamai
Giulia Calò
Francesco Campolongo
Elisabetta Canitano
Ileana a Capurro
Antimo Caro Esposito
Loris Caruso
Clarissa Castaldi
Maria Teresa Chiarello
Donatella Chiodo
Salvatore Cingari
Francesco Ciocconi
Vincenzo Colaprice
Amalia Collisani
Andrea Costa
Giancarlo Costabile
Michele Conia
Giorgio Cremaschi
Natale Cuccurese
Carlo Cunegato
Massimo Dapporto
Rachele de Chiara
Cinzia Della Porta
Nicoletta Dentico
Francesco Di Lieto
Soumaila Diawara
Camilla Diurno
Enzo Di Salvatore
Matteo Dominioni
Angelo d’Orsi
Nicoletta Dosio
Tiziana Drago
Abdel El Amir
Gianni Fabbris
Daniela Lourdes Falanga
Lillo Fasciana
Paolo Favilli
Mariema Faye
Nello Fierro
Martina Filippini
Luca Fontana
Francesca Fornario,
Federico Fornasari
Francesca Frediani
Gianni Fresu
Andrea Fumagalli
Rosaria Galiero
Sara Gandini
Filippo Girardi
Haidi Giuliani
Valeria Giuliano
Giuliano Giurlando
Lorenzo Giustolisi
Dino Greco
Paola Guazzo
Maria Teresa Iannelli
Giovanni Impastato
Franco Ingrillì
Stefano Jossa
Patrick Konde
Francesca Lacaita
Ferdinando Laghi
Lelio La Porta
Raniero La Valle
Claudileia Lemes Dias
Guido Liguori
Fabiomassimo Lozzi
Francesca Lini
Giorgia Listì
Giulia Livieri
Consuelo Locati
Ernesto Longobardi
Antonio Lo Schiavo
Domenico (Mimmo) Lucano
Elettra Luna Lucassen
Gabriele Lupo
Guido Lutrario
Paolo Maddalena
Roberto Mancini
Nicola Manfredelli
Lucio Manisco
Dario Manni
Laura Marchetti
Tommaso Marcon
Gabriele Antonio Mariani
Loredana Marino
Antonella Marras
Pino Masciari
Francesco Saverio Mascolo
Leonardo Masella
Citto Maselli,
Ignazio Masulli
Giovanni Mazzetti
Emilio Mesanovic
Leo Micali)
Maria Vittoria Molinari
Raul Mordenti
Roberto Morea
Veronica Morea
Roberto Musacchio
Viola Negro
Eva Olivero
Gessica Onofri
Guido Ortona
Moni Ovadia
Giovanni Pagano
Rossano Pazzagli
Dora Palumbo
Vera Pegna
Ada Perini
Tonino Perna
Francesca Perri
Tiziana Pesce
Rosangela Pesenti
Gregorio Piccin
Giuseppe Racanelli
Cristina Re
Sandro Repaci
Riccardo Rifici
Vincenzo Riccio
Valntino Romano
Francesco Rubini
Franco Russo
Giorgia Salvati
Clementina Sasso
Enzo Scandurra
Emilio Scalzo
Giancarlo Scotoni
Fabio Sebastiani
Vauro Senesi,
Marino e Sandro Severini (The Gang)
Piero Soldini
Lucina Speciale
Santino Spinelli
Francesco Staccioli
Giulia Stringhini
Alvise Tassell
Aurora Trotta
Francesco Tuccino
Stefania Tuzi
Carmela Uliano
Emanuele Ungheri
Adolfo Vallini
Luciano Vasapollo
Fulvio Vassallo Paleologo
Stefano Vento
Maddalena Verrone
Guido Viale,
Pasquale Voza
Alberto Ziparo
Maurizio Acerbo
Silvia Benedetti
Anna Camposampiero
Viola Carofalo
Mauro Casadio
Marta Collot
Giorgio Cremaschi
Luigi de Magistris
Yana Ehm
Paolo Ferrero
Andrea Ferroni
Eleonora Forenza
Stefano Galieni
Giuliano Granato
Matteo Mantero
Elena Mazzoni,
Paola Nugnes
Carmine Piscopo
Rosa Rinaldi
Giovanni Russo Spena
Doriana Sarli
Simona Suriano

Mostra

Chi è quell’autocrate vicino a Erdogan?

 

Draghi, in nome della realpolitik, incontra Erdogan, quello che poco più di una anno fa aveva definito, non senza clamore, un dittatore.

Il fatto politicamente è grave, ma non solo per l’immediatezza della stretta di mano e per l’oscena conferenza stampa che ne è seguita.

Draghi incontra Erdogan pochi giorni dopo il do ut des sulla pelle del popolo Curdo; non è un caso.

Il banchiere di Città della Pieve marca, con questo summit, la totale adesione della nostra nazione alle logiche spartitorie che saranno un must

dei prossimi anni: un mondo multipolare in cui si deve fare una scelta di campo netta tra due o più sfere di influenza (tutte deleterie e sprezzanti dei diritti civili).

Ribadire la sacrificabilità di un popolo ha un significato ben preciso, soprattutto quando esso sia egemonizzato da una ben delineata ideologia come quella rappresentata dal PKK e dal Partito HDP.

Draghi, dietro l’aspetto dimesso e la voce suadente, è un Primo Ministro spietato (la Grecia lo aveva già capito…), un vero battitore libero (dai partiti italiani) che asseconda una strategia ben delineata dai padroni delle ferriere che non sono solo gli Stati Uniti ma il mondo neoliberista più in generale.

Accecato dalla sua ideologia totalizzante cerca proseliti fra tutti coloro che possano essere utili alla causa del capitale senza fare ostaggi.

Non si pone nemmeno lontanamente la tutela dei diritti civili e le libertà dei popoli, questi sono vessilli da sventolare solamente in campo europeo perchè l’Unione Europea ha ormai definitivamente scelto il campo di Maastricht.

Un periodo buio per l’Italia e per il mondo che scivola, lentamente ma inesorabilmente in quella tanto agognata (dai padroni) fine della storia preconizzata da Fukujama in cui il capitale regnerà incontrastato e noncurante.

La storia recente, però, ci insegna che la disillusione dei popoli, per quanto spesso populista e pericolosa, a volte diventa artefice di cambiamenti di paradigma

e di repentine svolte politiche.

Almeno questa rimane una flebile speranza nei cuori di chi crede ancora che un altro mondo possa essere possibile.

La lezione di Strada

 

“Una persona alla volta” è un bellissimo pamphlet interrotto dalla sua morte in cui Gino Strada consegna all’umanità la sua eredità spirituale.

Attraverso un ricordo sintetico ma esaustivo dei trascorsi per fondare Emergency, Gino ci consegna una libro agile ed utile che colpisce nel segno: raccontare ad un pubblico anche giovane come sia potuto nascere una delle ONG più importanti di tutti i tempi.

Ruolo fondamentale di questi tempi, ricordare che ancora oggi è possibile parlare di questioni edificanti che nella crisi generale sembrano essere accantonate.

In primis la pace come possibilità concreta di risoluzione delle ingiustizie del mondo.

Il conseguente disarmo delle Nazioni del mondo che possa portare alla fine delle guerre.

La constatazione mai scontata del fatto che nelle guerre gli unici a pagarne le conseguenze sono i civili inermi.

La sua esperienza sul campo, nata quasi come progresso professionale, a mano a mano si trasforma in missione di vita, insegnamento per le nuove generazioni.

La società contemporanea, imbarbarita dalla perenne crisi economica e peggiorata dalla sindemia da Covid 19, non ha minimamente nel suo DNA i concetti di solidarietà e tolleranza.

Da perfetto idealista Gino Strada, anche con questo scritto, si ostina a diffondere questi benefici germi, non si arrende alla decadenza morale del mondo, lotta contro quelle forze politiche ed economiche che fanno della guerra e della sopraffazione il loro mantra.

La crisi economica è ormai un dato di fatto e permette ai padroni delle ferriere di poter agire senza freni, in modo indisturbato e senza la benchè minima opposizione sociale.

Le pagine di “Una persona alla volta”, anche nello stesso titolo, trasudano speranza e laico proselitismo verso un mondo più giusto; opzione considerata non utopica e quindi ancora più ricercata da Gino perchè possibile anche se reietta da parte dei potenti.

Un testo agile da portare nelle scuole, da divulgare nella sua semplice rappresentazione del bene e del male.

Un piccolo ma fondamentale tassello nella creazione di quel mondo possibile che ancora qualcuno crede possa essere realizzato.

 

 

 

LA PACE E IL CAPITALE

 

 

La guerra  (o operazione speciale) che si sta svolgendo in Ucraina mette ancora una volta in evidenza, per chi volesse vederle, le grandi contraddizioni del capitale.

Il mondo occidentale, soprattutto con l’estrema polarizzazione post caduta del muro di Berlino, ha una visione estremamente manichea del mondo.

Non nei potenti che hanno tutto l’interesse nel far credere questa divisione netta tra buoni e cattivi, ma anche nella società civile, alimentata dalla propaganda di guerra che agisce in occidente come in Russia.

Boris Johnson, il principe della famosa (e tragica) “immunità di gregge”, spinge l’Ucraina nell’Unione Europea dopo essere stato il paladino della Brexit.

Non è questo un colossale controsenso?

In occidente corre sul web e nelle cancellerie dei vari governi grande preoccupazione per come potrebbero essere trattati i prigionieri della acciaieria Azovstal dai russi secondo i canoni occidentali; quegli stessi principi che poi hanno portato alle prigioni e alle orrende torture di Guantanamo e di Abu Ghraib.

Ecco perché la vera opzione non utopistica è la pace e il disarmo e non la guerra: il vero utopista è colui che pensa che il mondo così può essere governato dai buoni che sarebbero gli occidentale o i filo-occidentale ma la verità è che da l’una dall’altra parte sempre comunque ci sono dei gruppi di potere che si scontrano per il predominio e il potere.

La guerra non è mai la soluzione giusta, la pace è l’unica opzione non utopica perché attraverso di essa si potrebbe risolvere la crisi sociale per tutti quanti. In un dibattito pubblico scevro dalla propaganda neoliberista anche per esclusione si potrebbe arrivare a capire che solo la pace e il disarmo sono la vera cosa utile, e solo un nuovo mondo può essere quello giusto e non questo mondo basato sulle ingiustizie e sullo scontro tra capibastone.

Penso che i tempi, nonostante tante incertezze, stiano cominciando ad essere maturi per la realizzazione di un movimento mondiale di riforma che parte anche dalla ricerca forsennata della pace.

Ne abbiamo un bisogno che non è esagerato dichiarare VITALE.

 

 

Il Pianto liberatorio

 

(Premesso che si sta disquisendo di calcio e non di guerra con tutto ciò che ne consegue…e che si sta parlando di un plurimiliardario)

per settimane Paulo Dybala è stato disegnato dalla stampa come un mercenario avido e senza cuore.

Le immagini di Dazn andate in onda a fine partita ieri sera ci regalano un altro scenario, molto diverso e più umano: un ragazzo di 28 anni affranto che

gira spaesato per quello che per anni è stato il suo terreno di gioco casalingo in cerca di conforto per il suo pianto irrefrenabile e fanciullesco.

In quel pianto vi è la summa della disumanità del calcio – business moderno, rappresentata al “meglio” da Andrea Agnelli, un presidente di club in verità incapace che si circonda dei uomini sbagliati nei posti sbagliati.

Con strategie in continuo cambiamento (non aggiornamento sia chiaro) e senza una linea ben definita nè in campo tecnico nè in quello economico.

I tifosi più accaniti, o chi la pensa in maniera neoliberista come Agnelli, snoccioleranno le statistiche: “è sempre infortunato”, “voleva un aumento troppo esoso”, “ha pianto perchè è un debole”.

La verità a mio modo di vedere è un’altra: dall’addio a Del Piero http://francocesario.altervista.org/addio-presunto-stile-juve/la dirigenza bianconera ha avuto una china sempre più ripida.

Il licenziamento di Allegri, il doppio tentativo fallito di affidare la panchina a due “progetti” particolari, Sarri e Pirlo, i vari ritorni (Bonucci, Buffon), le liti con Marotta, che su Ronaldo aveva pienamente ragione, l’affidarsi a Paratici per poi mandarlo via in tutta fretta, fino ad Arrivabene, disastroso in Ferrari e nella gestione del campioncino argentino. Per non parlare del già citato affare sballato Ronaldo.
Andrea Agnelli e i suoi accoliti rappresentano a pieno la cattiveria e la protervia del capitale, la sua presunta efficienza. Il suo usare le persone come fazzoletti da gettare.

Il calcio o è popolare o non è.

E per esserlo ha bisogno di eroi, uomini simbolo, capitani eterni. Che devono giocare bene, ovvio, ma che non possono essere cacciati quando sono talentuosi e attaccati alla maglia come ha dimostrato ieri il povero Paulo.

Questo calcio, definizione plastica di un mondo alla deriva, si disumanizza sempre più e perde appeal.

Le strategie di marketing serviranno a poco se continuerà questa china ipermanageriale e senza cuore.

Dybala, candidamente con il suo singhiozzare senza freni, dimostra che è stato licenziato senza giusta causa.

E questo fa male anche se si tratta di un miliardario che corre in un campo di gioco con dei pantoloncini corti.

Il pianto di Dybala è solo una stortura nel patinato mondo del denaro: per noi e per lui può rappresentare una catarsi benefica

e liberatoria.

 

 

Il sorriso del Gracio

Addio amico e Compagno.

Ancora non mi sembra vero. Non mi sembra possibile che una persona bella come te possa andarsene in modo così repentino

e tragico. Quante volte abbiamo parlato di politica, ci siamo confrontati, abbiamo scherzato e riso delle umane miserie.

Eri un grandissimo oratore, scrivevi comunicati stampa infiniti ma mai noiosi.

Totalmente anti-lettura e impossibili da pubblicare nella loro interezza.

Io avevo questo blog e quello del Partito di Assisi: tu trovasti spunto e ne facesti uno tutto tuo pieno di notizie nazionali

e di tuoi interventi sempre mirati e puntuali.

Avevi una capacità non comune nell’analizzare la situazione politica. Eri solare, simpatico, gioioso, mezzo matto come me.

Con generosità mi avevi regalato alcune cose per la nascita di mio figlio, ero venute a prenderle direttamente nella tua

amata Gualdo. Fu una delle ultime volte che ti vidi. La vita ci ha portati lontano, inevitabilmente, ma ti ho voluto

sempre bene e mi sono sempre informato sulle tue sorti.

E poi avevi quel sorriso contagioso, che sfoderavi nelle situazioni più improbabili e se qualcuno ce l’aveva con te

automaticamente si rabboniva. Un sorriso sincero e a suo modo timido ma bellissimo.

Abbiamo condiviso momenti indimenticabili seppur difficili per le gravi situazioni in cui stava per incunearsi il Partito.

Che piano piano stiamo cercando di far rinascere.

Da domani avremo un motivo in più per non abbandonare la lotta: la Rivoluzione la faremo anche per te

caro, carissimo Gianluca.

 

Pace o barbarie finale

 

 

La guerra in Ucraina sta creando grande indignazione nel mondo perché è chiaro e lampante a tutti e tutte che trattasi di una aggressione militare che non può avere giustificazioni di alcun tipo.

Premesso e ribadito con forza questo concetto la questione non può e non deve rientrare nella solita visione semplicistica e manichea dell’informazione mainstream.

In primis non regge il confronto fra la resistenza ucraina e quella italiana della II guerra mondiale.

E’ chiaro che gli ucraini hanno il sacrosanto diritto di difendersi dall’esercito russo; armarli è un altro paio di maniche.

Le armi fomentano la guerra e non spianano la strada al dialogo. Inoltre queste stesse rischiano seriamente di finire nella mani di neonazisti ucraini rei di tantissime atrocità, perpetrate fino dal 2014, nei confronti delle popolazioni russofone.

La Russia è una potenza nucleare e Putin sembra essere effettivamente fuori controllo. Oltre alle sue orrende azioni, impressionano i suoi discorsi a volte deliranti, nel come tratta i subordinati, la sua paranoia dei contatti fisici.

Chi arma le parti in causa ha interessi tutt’altro che umanitari e smania di giustizia e sete di libertà.

L’occidente è come sempre un Giano bifronte con una morale a comando in base a chi rappresenta meglio i propri interessi: ecco che la retrograda ma ricca Arabia Saudita non crea nessun imbarazzo mentre i giornalisti di tutto il mondo si sperticano di aggettivi negativi contro le altrettanto imbarazzanti violazioni di diritti civili della Repubblica Popolare Cinese che unisce a queste peculiarità una pericolosa (per gli Stati Uniti ovviamente) potenza economica nei fatti antiegemonica del Molok americano.

Fare queste analisi non significa giustificare le nefandezze dei governi o prendere le difese di uno dei due campi in gioco; è una semplice verità non detta ma assodata.

Perché i profughi ucraini ci impressionano più della altre decine di popolazioni che vertono nelle stesse identiche condizioni? Perché essi si presentano alla frontiera con la Polonia “vestiti come noi”, hanno quasi i nostri tratti somatici, sono vicini geograficamente. E’ come se lo facessero a noi. Aberrante ovviamente.

Ma come mai non c’è questo stesso moto interiore anche per i Palestinesi, gli Yemeniti o i Siriani? Troppo scuri per i nostri gusti, malvestiti, socialmente pericolosi?

Esiste dunque una umanità di serie A e una di serie B? Esistono violazioni dei diritti accettabili ed altre intollerabili perché perpetrate dai “nostri” antagonisti?

Come risolvere questa ingiustizia? Non certo parteggiando per l’omofobo Putin ovviamente, ma nemmeno santificando Zelensky e il suo governo colluso con gli oligarchi e che fa l’occhiolino alla pulizia etnica e ai battaglioni nostalgici del fuhrer.

Serve ora più che mai, anche in virtù della precedente batosta pandemica, una diversa umanità, una nuova consapevolezza delle cose del mondo.

Utopia? Certo. Necessità impellente. Ancor di più.

Con la piccola differenza che stavolta potrebbe essere la nostra ultima, disperata, opportunità.